CSM e nomine ai vertici delle procure: la scoperta dell’acqua calda
Basta ipocrisie, è l’ordinamento giudiziario che va cambiato: separazione delle carriere e del CSM, riforma dell’obbligatorietà dell’azione penale. Nell’idea di processo dei penalisti mai posto per veline di polizia e linciaggi preventivi. La posizione della Giunta dell’Unione Camere Penali Italiane.
La diffusione indebita e sapiente di brandelli di notizie relative ad indagini giudiziarie in vario modo collegate alla imminente nomina dei vertici di alcune importanti Procure italiane, sta mandando in scena un avvilente spaccato della Magistratura italiana e dei suoi meccanismi di governo, ma anche un formidabile festival della ipocrisia nazionale.
Come è ovvio, i penalisti italiani non intendono partecipare al morboso dibattito su presunte responsabilità penali date in pasto al pubblico senza ritegno da regie occulte, che andrebbero esse per prime individuate e perseguite. Nella nostra idea del processo penale, non c’è posto per veline di polizia, intercettazioni telefoniche sbocconcellate fornite sottobanco ad una stampa famelica, e linciaggi preventivi. L’unica cosa positiva di questo spettacolo indecoroso è che esso aiuterà almeno a facilitare la comprensione di quale autentica devastazione può comportare, nella vita di una persona, anche solo una informazione di garanzia irresponsabilmente resa pubblica.
Ma è la cifra dell’ipocrisia quella che vogliamo denunziare in questa vicenda, grazie alla quale staremmo dunque scoprendo l’acqua calda, e cioè che le dinamiche sottese alla nomina dei vertici degli uffici giudiziari sono tutte interne a logiche correntizie e perciò stesso schiettamente politiche.
Ci si dovrebbe piuttosto interrogare sulla ragione per la quale queste guerre senza quartiere, che possono giungere perfino -come in questo caso- all’uso della indagine penale per determinarne gli esiti, riguardino sempre e solo gli assetti degli Uffici di Procura, ed assai meno quelli degli uffici giudicanti.
Si scoprirebbe allora che la ragione è la stessa per la quale i vertici della rappresentanza politica della Magistratura appartengono da decenni (con l’autentica eccezione del nuovo Presidente da poco eletto) a magistrati del Pubblico Ministero, pur rappresentando costoro poco meno del 20% della platea dei magistrati italiani.
È la titolarità dell’azione penale il cuore pulsante del potere giudiziario, quella azione penale che la nostra Costituzione si ostina a pretendere obbligatoria, ma che è da sempre talmente discrezionale da consentire di distinguere addirittura, e con quale drammatica virulenza, nientedimeno che una continuità “pignatoniana” dalla sua discontinuità.
Ora sarà più facile capire perché la magistratura italiana reagisce compatta e con tanta veemenza alla idea di separare le carriere e di affidare -come pure vuole quella legge di iniziativa popolare da noi propugnata- al Parlamento sovrano (che ne risponderà al corpo elettorale al più tardi cinque anni dopo) la individuazione dei criteri di priorità dell’esercizio dell’azione penale.
La ragione sta non nella difesa dell’autonomia e della indipendenza della Magistratura, che nessuno intende mettere in discussione, ma nella difesa della esclusività di un potere immenso e tutto politico che appunto risiede nella titolarità dell’azione penale, e che si vuole assoluto, incontrollato e tecnicamente irresponsabile.
Quando gli equilibri correntizi, dunque politici, funzionano, tutto sembra procedere per il meglio; quando quegli equilibri saltano, come oggi sta succedendo in modo clamoroso e catastrofico, si scopre l’esistenza di un’azione penale “pignatoniana” e una no, di un’azione penale a trazione fiorentina ed una a trazione palermitana, una azione penale perugina di un segno ed un’azione perugina di segno opposto. E che quelle differenze sono a tal punto decisive da meritare l’esplosione di velenose inchieste giudiziarie incrociate e di agende fitte di incontri con politici e parlamentari (e poi saremmo noi penalisti ad attentare alla indipendenza della magistratura dalla politica!).
Non ci appassiona sapere come andrà a finire questa storia, perché essa è già chiarissima, per chi la vuole capire.
Occorre una radicale riscrittura dell’ordinamento giudiziario che, ferma e sacra la autonomia e la indipendenza della magistratura, separi inquirenti da giudicanti anche negli organi di governo della magistratura, rafforzando in essi in modo paritario la percentuale dei membri laici, e affidando al Parlamento, cioè ad un organo politicamente responsabile e rieleggibile, criteri e priorità dell’esercizio dell’azione penale. Questa proposta di riforma costituzionale è già in discussione in Commissione Affari Costituzionali, voluta dalle Camere Penali Italiane e sottoscritta da 72mila cittadini: forse ora sarà più semplice comprenderne l’importanza e la necessità.
Roma, 3 giugno 2019
La Giunta U.C.P.I.